Sentenze in riferimento al ruolo del Sindaco

Alluvione di Genova: confermata condanna per ex sindaco Marta Vincenzi. Il marito ha un malore in aula

Redazione ANSA Marzo 23, 2018 – News

Condanna confermata in appello per l’ex sindaco di Genova Marta Vincenzi per l’alluvione del novembre 2011 in cui persero la vita sei donne tra cui due bambine. In primo grado era stata condannata a cinque anni. Il marito dell’ex sindaco, Bruno Marchese, subito dopo la lettura della sentenza ha avuto un malore: ha cominciato a tremare e si è accasciato in terra. La moglie non era in aula.

Secondo l’accusa, i politici e i tecnici genovesi non chiusero le scuole nonostante fosse stata diramata l’allerta 2 e, la mattina della alluvione, non chiusero con tempestività le strade. Dalle indagini era emerso che “gli uffici comunali di protezione civile avevano ricevuto notizie allarmanti già alle 11 mentre il rio Fereggiano esondò intorno all’una”. In quelle due ore c’era la possibilità di evitare la tragedia con alcuni accorgimenti che “non vennero messi in atto”, aveva scritto il pm. I vertici della macchina comunale “non solo non fecero quello che andava fatto” ma, secondo l’accusa, “falsificarono il verbale alterando l’orario dell’esondazione”. Quel documento secondo gli inquirenti venne alterato per sostenere la tesi secondo cui quel giorno sulla città si abbatté una bomba d’acqua di per sé imprevedibile.

All’indomani della tragedia venne aperto un fascicolo per disastro colposo e omicidio colposo plurimo contro ignoti. Grazie alle testimonianze dei cittadini, alle loro foto e video, gli investigatori hanno scoperto che la verità contenuta nei verbali presentati dagli uffici comunali era ben diversa da quanto veramente accaduto. Vennero così ipotizzate le accuse relative al verbale ‘taroccato’: il falso, appunto, e la calunnia perché gli imputati scrissero nel documento che il volontario di protezione civile risultava presente sul rio a monitorare l’andamento dell’acqua quando invece non arrivò mai sul posto. Nella tragedia del Fereggiano morirono Shpresa Djala, mamma di 29 anni e le figlie Gioia (8 anni) e Janissa di 10 mesi, Serena Costa (18), Angela Chiaramonte (40) ed Evelina Pietranera (50).


Alluvione 2011, l’ex sindaco dopo la confema della condanna: “Non so se riuscirò ad andare avanti “

Una sentenza che replica quella per il disastro di Sarno dove morirono 37 persone: il sindaco condannato in via definitiva a 5 anni.
Genova. “Cosa vuole che le dica? non so se riuscirò a andare avanti”. Lo ha detto l’ex sindaco di Genova Marta Vincenzi all’Ansa che l’ha incontrata nella sua abitazione a Rivarolo, sulle alture di Genova, a poche ore dalla sentenza della Corte d’Appello di Genova che ha confermato per lei la condanna a 5 anni di reclusione per l’alluvione del novembre 2011. Se la sentenza dovesse diventare definitiva per Marta Vincenzi si aprirebbero le porte del carcere. L’ex sindaco che era rimasta a casa sarebbe apparsa dimessa e scioccata, mentre il marito che questa mattina è venuto in aula ad ascoltare la lettura del dispositivo ha avuto un lieve malore. “Non ho parole” era stato il commento dell’avvocato Stefano Savi che difende l’ex sindaco. “Dovremmo attendere la Cassazione per insistere sull’applicazione delle norme sull’omicidio colposo”, ha detto.

Una sentenza – quella letta oggi dal presidente della seconda sezione della corte d’appello Giuseppe Diomeda – che ricalca quella per il disastro di Sarno dove morirono 37 persone: il sindaco condannato in via definitiva (la Cassazione ha comfermato la condanna 8 mesi fa) a 5 anni.

Per l’avvocato difensore di Francesco Scidone Andrea Testasecca “si tratta di un dispositivo complesso, per comprendere il quale bisogna leggere le motivazioni per capire il ragionamento dei giudici sulla sussistenza dei reati contestati. Ci sono passaggi difficili da comprendere, specie sulla ritenuta sussistenza del falso che a nostro giudizio era ed è totalmente infondato”. Scontato anche per l’ex assessore, che pur ha avuto un importante sconto di pena (da 4 anni e 9 mesi a 2 anni e 10 mesi) il passaggio in Cassazione.

Per Emanuele Olcese, avvocato della famiglia di Serena Costa, morta dopo essere andata a recuperare il fratello a scuola, la sentenza parla chiaro e “afferma che il sindaco è il primo responsabile della protezione civile in città e anche se quel giorno era a un convegno doveva garantire il funzionamento della macchina”.

“Sono contento ma questa sentenza non mi ha cambiato niente perché i miei sono ormai morti e non me li riporta più indietro nulla. Però almeno questi qui soffrono un po’. Sono soddisfatto e mi auguro che Dio faccia anche lui il suo dovere e li mandi all’inferno tutti” ha commentato Flamur Djala, che nell’alluvione perse la moglie e le due figlie, dopo la sentenza di appello che ha confermato la condanna a cinque anni per l’ex sindaco Marta Vincenzi. È stato confermato tutto quello che è emerso durante il dibattimento – ha sottolineato Marco Costa, il papà di Serena morta a 19 anni dopo avere preso il fratello a scuola – e cioè la responsabilità: non sono riusciti a sminuirla perché non si poteva riuscire. Gli argomenti erano quelli, sono stati sviluppati in primo grado e analizzati in secondo. Il passaggio in Cassazione ci preoccupa perché non sappiamo come vanno le cose in questo settore, ma in realtà siamo sempre stati fiduciosi e in questi anni hanno tirato fuori la giustizia”.


Distacco del masso causa vittime. Sindaco condannato

Responsabilità per omessa segnalazione del pericolo

La Cassazione ha confermato le condanne per omicidio colposo impartite nei confronti di due sindaci accusati di aver cagionato per colpa e, in particolare, per negligenza, imperizia e inosservanza di norme, la morte di due adolescenti in gita scolastica, a causa del distaccamento di un masso sporgente sulla spiaggia.

I due Primi cittadini erano stati ritenuti colpevoli di omessa segnalazione, nella loro qualità di responsabili del territorio comunale e dell’incolumità pubblica, del pericolo esistente, nonostante gli eventi relativi ad un precedente distacco di parete rocciosa nella medesima zona.
Nella corposa sentenza n. 14550 del 29 marzo 2018, la Corte suprema si è, in primo luogo, soffermata sui profili riguardanti la pianificazione idrogeologica, la difesa del suolo e il sistema di protezione civile e, con particolare riferimento ai sindaci, sul loro obbligo giuridico di impedire l’evento.

La Cassazione si è quindi occupata del comportamento che avrebbero dovuto tenere gli imputati alla luce della prevedibilità del nuovo distaccamento, affermando, in proposito, un apposito principio interpretativo.
L’agente-modello – si legge nella decisione – ai fini dell’adeguamento della propria condotta all’osservanza delle regole cautelari in materia di danni conseguenti ad eventi calamitosi da rischio idrogeologico, deve fare riferimento non al dato percepito ma a quello percepibile con l’osservanza del livello di diligenza a lui richiesto, al quale non si chiedono specifiche competenze in materia idrogeologica bensì di segnalare la necessità che l’area interessata da precedenti frane sia sottoposta ad osservazione da parte di specialisti del settore ed interdetta al pubblico fino ad una compiuta valutazione del rischio.
Il modello agente, ossia non deve adagiarsi su fatti già avvenuti in assenza di elementi di conoscenza che consentano di escludere ulteriori e più gravi fenomeni.


Allerta meteo e responsabilità degli eventi: il caso fortuito non esiste

21 agosto 2018

Non esistono più le mezze stagioni e pure quelle intere danno problemi, tutta colpa del cambiamento climatico e non sembra più ormai un luogo comune o meno.
I danni da allagamento per le forti piogge sono sempre più numerosi e le nostre città si dimostrano puntualmente impreparate ad affrontare l’emergenza. Le “Bombe d’acqua” estive, o le forti precipitazioni e nevicate invernali costituiscono ormai un serio rischio. I conseguenti danni da chi devono essere risarciti?

Il Comune è il primo indiziato, ma il codice civile dà la possibilità alla pubblica amministrazione, di andare esente da colpe quando dimostri l’imprevedibilità e inevitabilità del caso (è quello che viene chiamato “caso fortuito”).
Il custode o proprietario di un bene, come una strada pubblica, deve risarcire tutti i danni da esso provocati, come appunto l’allagamento anche se di tali danni non ha alcuna colpa. È quella che viene definita “responsabilità oggettiva per cose in custodia”. Tuttavia, se il fenomeno è stato determinato da un fatto impossibile da evitare anche con il più scrupoloso comportamento, nessun risarcimento è dovuto.
Ci troviamo quindi davanti al caso in cui se il temporale è eccezionale esclude la responsabilità del Comune.
Infatti, secondo la Cassazione, un temporale di particolare forza ed intensità, protrattosi nel tempo e con modalità tali da uscire fuori dai normali canoni della meteorologia, può, in astratto, integrare gli estremi del “caso fortuito” o della “forza maggiore”. L’eccezionalità ed imprevedibilità delle precipitazioni atmosferiche possono configurare caso fortuito, idoneo ad escludere la responsabilità per il danno verificatosi.

Tuttavia il Comune potrebbe essere comunque corresponsabile se ha aggravato il danno, per esempio non pulendo le grate sulle strade, otturate da rifiuti e terra, i danni provocati da piogge, uragani, temporali e altre precipitazioni atmosferiche pur di particolare forza ed intensità, tali danni siano stati determinati dall’insufficienza del sistema di deflusso delle acque meteoriche della strada. Bisogna inoltre valutare che Il carattere eccezionale di un fenomeno naturale, nel senso di una sua ricorrenza saltuaria anche se non frequente, non è, sufficiente, di per sé solo, a configurare il caso fortuito, in quanto ciò non significa che esso non sia comunque prevedibile. Infatti anche la Corte ha precisato che l’eccezionalità ed imprevedibilità delle precipitazioni atmosferiche possono configurare caso fortuito, per far sì da escludere la responsabilità per il danno verificatosi, solo quando costituiscano causa sopravvenuta autonomamente sufficiente a determinare l’evento.

È certamente vero che una pioggia di eccezionale intensità può anche costituire caso fortuito, ma non è affatto vero che una pioggia forte costituisca sempre e comunque un caso fortuito. L’amministrazione, infatti, deve dimostrare – per evitare di pagare i danni – che le piogge in questione siano state da sole causa sufficiente dei danni nonostante la più scrupolosa manutenzione e pulizia da parte sua delle opere di smaltimento delle acque piovane.

Bisogna dimostrare quindi che le piogge siano state così intense che gli allagamenti si sarebbero verificati nella stessa misura pure essendo stata attuata la manutenzione prevista. La responsabilità per i danni provocati da cose in custodia, di cui all’art. 2051 c.c., trova applicazione anche in relazione ai beni demaniali dove potrebbe essere impossibile l’esercizio di un continuo ed efficace controllo che valga ad impedire l’insorgenza di cause di pericolo per i terzi, applicando in generale il principio del “neminem laedere” di cui all’art. 2043 c.c. e limitazione della responsabilità.

Affinché la p.a. possa andare esente dalla responsabilità di cui all’art. 2051 c.c., per i danni causati da beni demaniali, occorre verificare il potere di controllo e di vigilanza su di essi. Possono integrare il caso fortuito o la forza maggiore precipitazioni di imprevedibile ed eccezionale gravità in quanto per caso fortuito deve intendersi un avvenimento imprevedibile, un quid di imponderabile che si inserisce improvvisamente nella serie causale come fattore determinante in modo autonomo dell’evento.

La possibilità di invocare il fortuito (o la forza maggiore) deve ritenersi ammessa nel solo caso in cui il fattore causale estraneo al soggetto danneggiante abbia un’efficacia di tale intensità da interrompere tout court il nesso eziologico tra la cosa e l’evento lesivo, di tal che esso possa essere considerato una causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento. È evidente, perciò, che un temporale di particolare forza ed intensità, protrattosi nel tempo e con modalità tali da uscire fuori dai normali canoni della meteorologia, può, in astratto, integrare gli estremi del caso fortuito o della forza maggiore, salva l’ipotesi in cui sia stata accertata l’esistenza di condotte astrattamente idonee a configurare una (cor)responsabilità del soggetto che invoca l’esimente in questione.

Uno dei compiti primari del Sindaco è quello di saper garantire in ogni situazione la sicurezza della propria comunità, sia come singoli individui che come collettività ed ha anche il potere, quale Ufficiale di Governo, di emanare provvedimenti contingibili e urgenti finalizzati alla pubblica incolumità.

È opportuno evidenziare che la recente normativa di riordino del Sistema Nazionale di Protezione Civile ha affidato nuove responsabilità al Sindaco indicandolo come l’Autorità di Protezione Civile che “assume la direzione dei servizi di emergenza sul territorio del comune” mentre il Decreto legge 6 luglio 2012 (spending review) ha inserito tra le funzioni fondamentali del Comune “l’attività in ambito comunale, di pianificazione di protezione civile e di coordinamento dei primi soccorsi”, ribadendo, in tal modo, l’importanza dei compiti affidati al Sindaco in tale ambito.

Egli viene così chiamato ad operare con un coinvolgimento totale nelle attività di previsione, prevenzione, soccorso e superamento dell’emergenza ed è l’autorità che riveste un ruolo complesso e fondamentale nell’ambito del sistema di protezione civile in quanto gli è richiesto di prevedere, prevenire e gestire gli eventi calamitosi che possono interessare il proprio comune e i suoi abitanti.

Il Sindaco deve quindi mettere in atto ogni attività di prevenzione volta ad assicurare l’incolumità dei propri cittadini, la tutela dei loro beni e del territorio.
Al verificarsi di una situazione d’emergenza, acquisite le opportune e dettagliate informazioni sull’evento, il Sindaco assume la direzione dei servizi di soccorso e assistenza alla popolazione colpita e adotta i necessari provvedimenti.

Egli non può trovarsi impreparato ad affrontare tale evento in quanto è il punto di riferimento (operativo e amministrativo) e di sostegno dei propri cittadini che a lui si rivolgono quale istituzione più prossima.

È compito esclusivo del Sindaco l’informazione preventiva e in emergenza della popolazione su possibili situazioni di pericolo (art. 12 Legge 265/92)
La comunicazione con la cittadinanza è finalizzata innanzitutto a poter limitare i feriti o la perdita di vite umane nonché la distruzione di beni materiali attraverso informazioni sui corretti comportamenti da assumere in situazioni emergenziali.

Per poter rispondere efficacemente alle varie attività emergenziali, è pertanto necessario che a livello comunale venga assicurato l’esercizio di tutti i servizi comunali, con la presenza del segretario comunale e dei dirigenti/funzionari, dell’Ufficio Tecnico Comunale, della Polizia Locale, del Volontariato locale.
Il Sindaco inoltre si avvale, al fine di assicurare nell’ambito del proprio territorio comunale la direzione ed il coordinamento dei servizi di soccorso e di assistenza alla popolazione, del C.O.C., tempestivamente attivato e da lui presieduto, in previsione di un evento o in immediata conseguenza dello stesso.

Il caso dell’ex sindaco di Genova (sempre in primo piano quando si tratta di eventi eccezionali) Marta Vincenzi, condannata a cinque anni di carcere per disastro colposo, omicidio colposo plurimo e falso ideologico, nel processo sull’alluvione che interessò Genova il 4 novembre 2011, in cui morirono sei persone.

L’ex sindaca di Genova, Marta Vincenzi ha “mentito a tutti”, ha “totalmente abdicato ai suoi doveri di intervento in materia di protezione civile” con una “fuga dalla responsabilità” e “ha operato una valutazione ‘politica’ indirizzata al mantenimento del consenso popolare”. Questo scrivono i giudici di corte d’appello di Genova nelle motivazioni della sentenza di condanna a 5 anni per l’ex sindaca per l’alluvione del 2011 in cui morirono 4 donne e 2 bambine, “I garanti della sicurezza – si legge nelle carte – hanno tentato un azzardo pericolosissimo con il destino con ingiustificata e elevatissima imprudenza”.

Non vi è dubbio che le informazioni delle quali il sindaco disponeva erano tutte orientate in modo univoco e esplicito a paventare l’esondazione dei corsi d’acqua, ben note per la reiterazione di tali fenomeni almeno dagli anni ’80 in avanti. La condotta del sindaco non può che essere valutata come gravemente colposa.

La vicenda della condanna dell’ex sindaco, in appello, merita riflessione. È un dato di fatto, l’esposizione di sindaci, amministratori e dirigenti comunali, rispetto al verificarsi di eventi straordinari e non sempre prevedibili nella portata e negli effetti.
Il periodo 2004/2015, conta circa 70 procedimenti penali pendenti relativi ad emergenze di protezione civile, a carico di 200 persone tra sindaci, amministratori, dipendenti comunali, rappresentanti regionali eccetera. La condotta contestata è in genere: aver sottovalutato il segnale d’allarme del sistema di monitoraggio. Il numero di procedimenti giudiziari dimostra che c’è un problema di «cattivo» funzionamento del sistema “legale” che produce contenziosi e vede il sindaco, prima autorità di protezione civile, caricato di compiti e responsabilità che hanno elevato tasso tecnico e poca discrezionalità politica.

Il sindaco di un Comune a rischio idrico/idrogeologico (ovvero l’87% dei Comuni) riceve in media ogni anno 150 allerta meteo fra giallo e arancione. Al sindaco, è dato l’onere eccessivamente tecnico, di valutare l’andamento e la gravità del fenomeno previsto, e quindi di definire il grado di allerta ma è troppo forte lo scarto fra massima responsabilità e minime risorse per i Comuni in materia di protezione civile.

La giurisprudenza, in fatto di responsabilità dei sindaci al più delle volte, sanciscono pronunce con un chiaro esonero di responsabilità a carico del Comune e del sindaco.
Ma quando la condotta del sindaco non può che essere valutata come gravemente colposa in particolare quando una dinnanzi ad una scelta tecnica, in funzione delle informazioni ricevute, interviene invece una valutazione ‘politica’ dettata da considerazioni estranee alla tutela della collettività, e piuttosto indirizzate al mantenimento del consenso popolare da parte di quei ceti che in occasione di interruzioni delle normali attività potrebbero lamentare danni per le loro imprese.
Il senso di responsabilità impone a tutti, ed in primis ai sindaci, di valutare e verificare la situazione concreta, perché in ogni comune le circostanze sono diverse e a sé stanti. Bisogna con serietà assumersi le responsabilità del ruolo, senza scaricare su altri decisioni e conseguenze.
Il compito decisivo, è affidato alla manutenzione, solo ove si dimostri di avere adottato ogni possibile attività di prevenzione e manutenzione, può configurarsi l’eventuale esenzione dalle responsabilità.

Il risultato, nella pratica, è che anche per un temporale di particolare intensità si può giungere ad escludere il caso fortuito qualora il proprietario non riesca a dimostrare di avere posto in essere tutte le misure idonee a scongiurare il danno.


Il disastro di Sarno, la Cassazione conferma la condanna al sindaco: condotta negligente

A quasi 15 anni dall’alluvione che costo la vita a 137 persone la Suprema Corte rende definitiva la sentenza per l’ex primo cittadino
27 Marzo 2013
Quasi 15 anni dopo l’alluvione di Sarno, del 5 maggio del ’98, che costò la vita a 137 persone, la Corte di Cassazione mette un punto fermo.
È definitiva la condanna del sindaco Gerardo Basile alla pena di cinque anni di reclusione comminata dalla Corte d’Appello di Napoli nel dicembre 2011.


Sarno, altra condanna per Basile dalla Corte dei Conti

Il sindaco dell’epoca dovrà risarcire ai familiari delle vittime oltre 200mila euro

05 ottobre 2018
SARNO – Gerardo Basile diventa il “capro espiatorio” per i tragici fatti alluvionali del 5 maggio 1998: arriva anche la sentenza di condanna della Corte dei Conti. Non v’è pace per l’ex primo cittadino ai tempi della frana del maggio 1998, quando delle colate di fango di enormi proporzioni invasero l’abitato di Sarno, provocando 137 vittime. A seguito di quell’evento l’ex sindaco fu condannato con sentenza della Corte di Appello di Napoli, passata in giudicato il 26 marzo 2013, alla pena di 5 anni di reclusione per il reato di omicidio colposo per omissione e all’interdizione dai pubblici uffici. Dal tenore di tale sentenza emergeva il comportamento gravemente colposo di Basile, il quale avrebbe dovuto considerare l’incidenza delle piogge e della situazione meteorologica, e quindi ordinare l’evacuazione.

La vicenda contestata, peraltro, rileva non solo sul piano penale, ma anche sul piano risarcitorio. Basile fu condannato al pagamento di 30 mila euro a titolo di provvisionale per ogni danneggiato, pertanto alla data odierna, il danno da pagare è di 202 mila euro, oltre la rivalutazione monetaria, nonché agli interessi e alle spese legali. La sentenza della Corte dei Conti, pubblicata appena pochi giorni fa, dispone: «Accertata la presenza di una condotta antigiuridica e di un esborso pubblico al quale non corrisponde una utilitas per l’amministrazione erogante, il danno erariale coincide con la somma corrisposta dal Comune di Sarno ai soggetti danneggiati ad euro 202.225,80. Tale danno va interamente addebitato a Basile. Non vi sono elementi per applicare una riduzione per diverse ragioni: il danno deriva dalla violazione di più norme sostanziali e procedurali che non presentavano incertezze interpretative, il convenuto era in possesso di una specifica professionalità essendo un ingegnere, non risulta dimostrato un rilevante contributo causale da parte di altri soggetti non evocati in giudizio».

Pertanto, la sezione giurisdizionale della Corte dei Conti per la Campania, ha ordinato il pagamento di 202 mila euro in favore del Comune di Sarno. Da ricordare, inoltre, che a seguito della sentenza di condanna la Prefettura di Salerno, deve risarcire nel limite di euro 100 mila i familiari di r ciascuna delle vittime della frana del 5 maggio 1998. La sentenza che condannò Basile fece scalpore. Oltre all’ex primo cittadino furono condannati anche la presidenza del consiglio dei Ministri, il ministero dell’Interno e il Comune con il pagamento di una provvisionale di 30 mila euro e il risarcimento ai familiari costituitisi parte civile.

La Terza sezione penale della Cassazione ha infatti rigettato i ricorsi di Basile e dei responsabili civili, la presidenza del Consiglio, i ministeri degli Interni e dell’Economia. I condannati dovranno anche pagare le spese processuali e risarcire le spese delle parti civili.
Il sindaco era stato riconosciuto dalla Corte di Napoli colpevole di condotta negligente per non aver ordinato l’evacuazione della popolazione nella notte tra il 4 e il 5 maggio del ’98. La sentenza della Cassazione avviene dopo che la Suprema corte, nel marzo 2010, aveva già rigettato l’assoluzione del 2008 da parte della Corte d’Appello di Salerno.